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Gli ultimi capitoli della «glifo-saga» hanno visto trasformarsi il dibattito scientifico e poi politico sulla sua presunta cancerogenicità in una poco onorevole contrattazione sulla durata della nuova licenza. 

Difficile capire, in questo contesto, quali siano i criteri che spingono i Governi dei diversi Paesi a prendere e a cambiare posizione: eloquente la «capriola» apparentemente ingiustificata della Francia, in prima istanza capofila di un rinnovo per 5 anni, diventata improvvisamente sostenitrice di 3, al massimo 4, nel momento in cui la Commissione ha annunciato che il 9 novembre presenterà una proposta di rinnovo proprio su 5 anni.

Nella riunione del 25 ottobre, la Commissione ha provato a mettere sul tavolo diverse ipotesi di nuova licenza di durate da 10, 7, 5 oppure 3 anni. La prima opzione avrebbe avuto il sostegno della maggioranza dei Paesi, ma non quella basata sulla popolazione: Regno Unito e Spagna si sono schierati per questa ipotesi, ma il no di Francia, Germania e Italia ha pesato di più. 

La minaccia di lasciar scadere la licenza senza fare nulla, fatta dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker, stufo di dover prendere decisioni su materie controverse perché gli Stati non si assumono le loro responsabilità, è una possibilità. Ma è, almeno al momento, poco credibile: un divieto del glifosate porterebbe a una denuncia in Corte di giustizia da parte dell'industria dei fitofarmaci, che avrebbe buone possibilità di vincere perché la Commissione non ha applicato le regole fino in fondo.